sabato 26 maggio 2018

A tavola... nell'Ottocento e nel Novecento

Fin dai tempi più antichi l’alimentazione è stata una delle maggiori preoccupazioni dell’uomo: la storia è stata scandita da grandi carestie e da periodi di grave penuria di cibo, soprattutto nei periodi di guerra.
L’alimentazione nell’Ottocento
Nell’Ottocento si completa la diffusione, almeno per le classi agiate, delle buone maniere a tavola, con l’affermarsi definitivo delle forchette, del piatto piano (invece della fetta di pane o del tagliere di legno) e di posate e bicchieri individuali, con il divieto di mettere le dita nei piatti comuni, con evidenti vantaggi igienici. I cereali comunque, anche in questo secolo, occuparono un ruolo assolutamente preponderante, perpetuandosi la tendenza alla malnutrizione delle popolazioni.
I contadini, in questo periodo, avevano principalmente un’alimentazione povera, cibandosi di cibi scadenti e mangiando raramente la carne, che solo i più ricchi potevano permettersi. Sulla loro tavola c’erano soprattutto polenta di mais, zuppe di fagioli, cipolle e altre verdure, pasta e ceci, pane di frumento condito con fave o cavolfiori oppure bollito in acqua e condito con un filo d’olio. I più poveri si cibavano di erbe selvatiche, poiché il pane era troppo costoso.
Gli operai di città avevano un’alimentazione più varia, e riuscivano ad assumere anche proteine soprattutto da carne ovina, formaggi e latte; bevevano anche vino, soprattutto al sud.
Nelle regioni del nord la cucina era basata su minestre e zuppe a causa del freddo, mentre al sud venivano usati pomodoro, olio, pesce e agrumi.
IL CIOCCOLATO
Agli inizi dell’Ottocento, si assiste alla diffusione del cioccolato su larga scala, anche presso le classi meno abbienti. Ciò fu possibile quando il cioccolato, preparato industrialmente sotto forma di tavolette, non si poteva solo bere ma anche mangiare. Quattro sono stati i fattori che hanno favorito la diffusione del cioccolato nel mondo: l’introduzione del cioccolato in polvere, la riduzione delle tasse e dei dazi, il miglioramento dei trasporti, l’avvento del cioccolato in tavolette e in altre forme facilmente edibili.
LA BIRRA
Si assiste a una vera e propria rivoluzione industriale della birra. Il processo di birrificazione e, di conseguenza, la diffusione del consumo della bevanda stessa, viene agevolato da una serie di conquiste tecniche: avvento di termometri più affidabili, macchine a vapore, nuovi dispositivi per la tostatura e il raffreddamento del malto, sviluppo delle tecniche di imbottigliamento in recipienti di vetro. Verso la metà dell’Ottocento anche in Italia sorsero le prime fabbriche della birra. La prima fu a Nizza Marittima nel 1789. Nel 1840 venne fondato un birrificio industriale a Chiavenna (So).
ZUPPA DI CIPOLLE
La zuppa di cipolle è un gustoso piatto, prevalentemente invernale, considerato un piatto povero perché l’ingrediente principe è la cipolla, verdura economica e reperibile tutto l’anno. La zuppa di cipolle più famosa è la francese soupe à l’oignon che, da pietanza popolare, nel tempo è entrata a far parte dei raffinati menù dei migliori ristoranti.
L’alimentazione agli inizi del Novecento
Nel Novecento si assiste sia a un enorme incremento della produzione agricola, sia al netto miglioramento delle tecniche di conservazione, sia a un deciso sviluppo dei sistemi di trasporto, fenomeni che hanno determinato una grande abbondanza di cibo e la possibilità di consumo di alimenti prodotti in luoghi lontanissimi.
Gli appartenenti ai gruppi sociali che all’epoca guadagnavano molto potevano permettersi quello che nel linguaggio del tempo era definito cibo di lusso. Il pasto giornaliero di questi nuclei familiari cominciava al mattino con pane bianco, burro, latte e caffè. A pranzo di solito c’era una minestra in brodo e un piatto di carne, cucinato in vari modi (arrosto con patate, in umido con odori o stufato) accompagnato sempre da pane bianco. A cena c’era sempre un piatto di carne, seguito da pane, verdura di stagione e formaggio. La frutta e i dolci costituivano l’ultima portata del pranzo, e spesso anche della cena, di queste famiglie facoltose.
Ben diverso era il regime alimentare dei restanti gruppi sociali, cioè quelli più poveri,  in cui confluivano famiglie con diverse fasce di reddito e che in base alle proprie possibilità apportavano lievi modifiche ai tre pasti con cui era scandita la giornata alimentare. A colazione, le famiglie più povere sostituivano il caffè con una bevanda ottenuta da un composto di ceci e orzo bruciato chiamata “cicoria”, mentre quelle con più possibilità mangiavano pane anche con del formaggio o del salame. Il pranzo era costituito da un piatto unico, generalmente una minestra, preparata con lardo, odori, cipolle, pomodori, pasta e patate, o pasta e cavoli, o riso e patate, o altre verdure di stagione. Un altro piatto che si poteva trovare di frequente sulle tavole era la minestra di legumi preparata con cipolla, aglio e condita con olio, oppure legumi in umido, a base di fagioli o di lenticchie, preparati con patate, lardo e pomodori.
Durante la Seconda Guerra mondiale venivano consumati soprattutto patate, vegetali e pane nero, contenente crusca; l’assunzione di proteine di origine animale era limitata, assumendo soprattutto proteine da legumi (i fagioli erano la “carne dei poveri”).
Negli anni Cinquanta la situazione non era ancora ottimale, perché scarseggiavano ancora carne, pesce, salumi e formaggio. Chi possedeva un maiale era fortunato, perché questo animale era prezioso per l’economia domestica: se ne ricavavano strutto, salumi e carni da conservare essiccate, sotto sale, lungo tutto il corso dell’anno.

Classe III B - Ripi