Sono passati alcuni anni ed eccomi qui oggi, un ragazzo di dodici anni che vi racconterà la sua vita da quel maledetto giorno.
Primo maggio duemilaquindici : tutta la mia famiglia , zii, comari e compari si recarono dalla zia Santina, una cara signora rimasta vedova da un paio di anni.
Durante il pranzo ridemmo e scherzammo, finché, appena finito il secondo, mio padre Gianni decise di andare a fare un giro in moto. Dopo un po’, squillò il telefono a zia Simonetta . Erano i carabinieri : mio padre aveva avuto un incidente in moto alla rotatoria del “Fornaci Village”…la moto era andata a sbattere con violenza contro un palo della luce. Papà fu soccorso subito : in ambulanza lo portarono all’ospedale Spaziani di Frosinone; successivamente fu trasportato in elicottero a Roma all’ospedale Umberto Primo. Quando mamma me lo disse , sentii un vuoto interiore, una sensazione di smarrimento ed ebbi subito la consapevolezza che non avrei più potuto fare quello che facevo prima . Ma, soprattutto, non sapevo se papà era ancora vivo o no.
Appresa la notizia, mamma mi fece le valigie e andai a stare per qualche giorno dalla zia Rosalba , mentre lei con gli zii partì alla volta di Roma . Nemmeno lei sapeva se mio padre era ancora vivo. Appena arrivata, incontrò il Dottor Missori, che lo aveva già operato: gli aveva asportato metà cranio ! Dal suo punto di vista, era già un miracolo che arrivato all’ospedale fosse ancora vivo.
Dopo l’operazione entrò in coma e vi restò per venti giorni . Non sapevamo se si sarebbe risvegliato. Quei giorni sembravaano interminabili… fino a quando il ventunesimo giorno ci fu il primo accenno di vita. Alla notizia iniziai a piangere e a ridere allo stesso tempo, ero felice, ma anche preoccupato perché, pur essendosi risvegliato, presentava condizioni di salute molto gravi .
Dopo qualche giorno fu operato di nuovo. L’intervento durò tre ore ed io che ero là fuori ero molto agitato, ma ,grazie a Dio ,tutto filò liscio e dopo poche ore incominciò a ristabilirsi.
Dopo una settimana disse la sua prima parola. Mamma, quando lò sentì, incominciò a piangere come la fontana di Trevi: un’emozione che non ha parole.
Quando me lo venne a dire incominciai a piangere anch’io.
Dopo tre mesi , potei vederlo : aveva una flebo per nutrirsi e una per i medicinali, aveva dei tubi per la respirazione, macchinari per controllare il battito cardiaco e per monitorare gli impulsi nervosi che venivano trasmessi dal cervello.
Il Dottor Missori aveva spiegato a mia madre che , a causa dell’urto , papà non avrebbe potuto più muovere uno degli arti superiori , la mano destra, e avrebbe avuto difficoltà a camminare.
Mia madre incominciò ad andare tutti i giorni a Roma, quasi non mangiava più ed era molto stressata. Ogni sera rientravamo tardi a casa e la mattina dopo si ripartiva molto presto : mamma tornava a Roma, mentre io andavo da zii, comari e sorelle di mamma , che ci hanno aiutato davvero tanto durante questo percorso. Dopo quattro mesi , le condizioni di papà migliorarono ed è poté tornare a casa , ma ogni giorno dovevamo portarlo al San Raffaele, dove alcuni infermieri specializzati in riabilitazione gli facevano muovere arti superiori e inferiori.
Una mattina , mamma si accorse che dalla ferita di papà incominciava a fuoriuscire del liquido . Lo portammo a fare dei controlli a Roma e il Dottore decise di operarlo di nuovo . Fu una notizia sconvolgente . Durante l’operazione il dottore gli dovette inserire una placca….
Ed eccomi qui oggi, felice di avere accanto il mio papà e di poter condividere con lui la vita che verrà.
Gioele Guarcini IIA